
La «Bari, città tranquilla» fu scossa la sera del 28 novembre 1977 dalla lama dei fascisti usciti dalla sede del Movimento sociale. Quel coltello colpì Benedetto Petrone nella piazza della Prefettura, a due passi da questura e municipio, non in un angolo buio ma nel centro ideale del capoluogo. Proprio nel punto in cui «le due città», quella dei professionisti, dei commercianti e dei benestanti, tra i quali il Msi trovava linfa vitale, si divideva da quella degli studenti, degli operai, degli abitanti della zona più antica che già era a rischio di speculazioni e di svuotamento e che votava a sinistra.
Ma Benedetto era soprattutto un ragazzo di 18 anni, comunista (era iscritto alla Fgci) che doveva lavorare pur volendo proseguire gli studi.

La vicenda di Benedetto «Benny» è tornata alla luce dopo un trentennio di sostanziale oblio: in occasione del trentennale, nel 2007, però la sua storia è stata riproposta alla città con importanti appuntamenti pubblici e celebrazioni, anche grazie al lavoro del comitato. La figura di Benedetto è stata celebrata anche in film e documentari e a lui è stato intitolato un collegio universitario. «Adesso che - spiega Pasquale Martino, coautore con Nicola Signorile del pamphlet «Le due città - i giorni di Benedetto Petrone» che uscì l'anno dopo l'avvenimento, narrando modi e tempi in cui maturò l'omicidio - la memoria storica è stata sancita ufficialmente, quello che dobbiamo capire è quello che è successo dopo. Perché la vicenda è finita in un gorgo nero di un processo che non ha fatto giustizia, lasciando libero un branco che poi si macchiò di altri delitti, probabilmente anche di quello del dj Martino Traversa». Per entrambi i delitti infatti la verità giudiziaria ha visto un solo colpevole.

giudiziarie a Bari sono state tantissime - conclude Martino - a partire da una delle prime stragi di Stato, quella del 28 luglio 1943 quando l'esercitò sparò per uccidere su una manifestazione che chiedeva la liberazione dei prigionieri politici fascisti. I primi spari arrivarono dalle finestre della sede fascista di via Nicolò Dall'Arca e mai nessuno ha indagato fino in fondo». Il coltello che colpì Benedetto fu ritrovato invece dalla polizia in una stanza della sede del Movimento sociale italiano, che poi diventò il quartier generale di An e che oggi è disputata tra i finiani e il Pdl. Fatto sta che dopo la grande manifestazione del giorno dopo e la chiusura di alcuni covi neri episodi così gravi a Bari non furono più registrati. Le foto dell'epoca mostrano un giovanissimo Massimo D'Alema ai funerali, i fotogrammi di un filmato raccontano di un assalto alla sede della Cisnal durante una manifestazione di protesta: insieme al sindacato missino fu invasa per chiuderla anche la sezione Passaquindici, sede dei gruppi più violenti dei giovani missini.

Oggi c'è anche una strada in centro intitolata a Benedetto, «vittima della violenza fascista», fortemente voluta soprattutto dai famigliari. Il comune, dopo una lunga trattativa, ha concesso l'intitolazione della strada, a pochi passi dal luogo dell'omicidio.
«Il senso di celebrare il 28 novembre - spiega Nicola Carella del collettivo Mercato Occupato, che sta provando a sperimentare l'attività di un centro sociale a Bari - sta nel fatto che oggi esiste una comunità di studenti, migranti, precari che vuole riprendersi la città dopo anni di
abbandono. Questo movimento si lega ai movimenti degli anni Settanta che si opponevano proprio a quei tentativi di espulsione e marginalizzazione dei ceti popolari. Ecco perché saremo in piazza anche domenica».
Nico Lorusso - Il Manifesto.
ph. Felisiano Bruni (Rumore Collettivo)
Nessun commento:
Posta un commento